Il 13 dicembre 1925 vedeva la luce a Milano il primo numero della «Fiera letteraria», un settimanale di taglio giornalistico e informativo che, ricalcando il modello illustre del francese «Les Nouvelles Littéraires», aspirava a fornire una panoramica completa sugli eventi salienti dell’attualità culturale italiana. A fondarlo, e a dirigerlo per il primo biennio, fu la personalità eclettica di Umberto Fracchia (Lucca, 1889-Roma, 1930), già noto al grande pubblico per la sua attività di giornalista e di romanziere, nonché per la consolidata esperienza accumulata in campo editoriale come direttore della casa editrice di Arnoldo Mondadori.
L’analisi della documentazione edita e inedita compresa nell’archivio personale di Umberto Fracchia, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Genova, consente una precisa ricostruzione degli eventi che caratterizzarono il primo anno di vita del giornale – dalle fasi preliminari della sua progettazione alla sua definitiva affermazione sulla scena giornalistica nazionale –, lasciando emergere i retroscena più interessanti di una vicenda che, nel suo tormentato svolgimento, si pone come un convincente paradigma delle imprese editoriali sorte in quella concitata fase storica.
Finanziata dalle maggiori case editrici milanesi (la stessa Mondadori, dalla quale Fracchia aveva appena rassegnato le dimissioni, e la concorrente Treves), interessate a promuovere la propria produzione letteraria, e da Giovanni Treccani, attraverso l’istituto da lui creato per provvedere alla pubblicazione dei volumi dell’Enciclopedia Italiana, l’iniziativa di Fracchia, sostenuta anche dalla paziente opera di intercessione di un intellettuale dell’autorevolezza di Ugo Ojetti, poté così prendere il largo e dispiegarsi lungo le molteplici declinazioni immaginate dal suo ideatore.
Affiancato da una nutrita schiera di giovani redattori (Giovanni Battista Angioletti, Riccardo Bacchelli, Antonio Radames Ferrarin, Adolfo Franci, Guido Edoardo Mottini, Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa), coadiuvato da collaboratori e fiduciari sparsi nei principali centri culturali italiani (Anton Giulio Bragaglia, Alberto Cecchi, Arnaldo Frateili e Curzio Malaparte a Roma; Cesare Padovani e Raffaello Franchi a Firenze; Francesco Flora a Napoli), Umberto Fracchia impegnò «La Fiera letteraria» in una strenua battaglia per l’affermazione dei fondamentali valori della cultura nel quadro delle nuove istituzioni create dal nascente regime, scontrandosi – non soltanto metaforicamente – con i paladini più intransigenti dell’ortodossia fascista, contrari alla concessione di spazi anche infinitesimi di autonomia agli intellettuali “puri”.