Nel corso degli anni Trenta, molti fili della grande cultura letteraria italiana passano per Arenzano. Lì una giovane donna di origine triestina, Lucia Morpurgo (1901-1978), compagna del pittore Paolo S. Rodocanachi, attende meticolosamente alla costruzione di una trama di rapporti soprattutto epistolari con Eugenio Montale, Camillo Sbarbaro, Adriano Grande, Angelo Barile, Gianna Manzini, Elio Vittorini, Guglielmo Bianchi, Carlo Emilio Gadda, Henry Furst, Carlo Bo, Elena De Bosis Vivante, Bobi Bazlen, Orsola Nemi (e con artisti liguri o a vario titolo attivi in Liguria come Oscar Saccorotti, Giovanni Solari, G.B. De Salvo, Emanuele Rambaldi, Agenore Fabbri, Guglielmo Bozzano, Carlo Quaglia)…
A ciascuno di loro Lucia Rodocanachi eroga a piene mani i tesori di una sapienza che ha a che fare anche con i dipinti, i libri e le carte ma che trova le sue radici in una illimitata, inesauribile capacità di ascolto sostenuta da una disposizione strenuamente oblativa che coniuga ironia e pazienza, mitezza e rigore, eleganza e coraggio, carità e disincanto.
Dal fondo di una solitudine senza compenso risarcita solo fino a un certo punto dagli ambigui conforti della letteratura, Lucia convoca i vicini e i lontani: e perfino l'impalpabile tela di ragno che le è concesso di governare può diventare per gli uni e per gli altri uno strumento possibile di sopravvivenza alla vigilia dell'immane catastrofe collettiva che sta per investire la vecchia Europa.
Di una simile rete di parole e di affetti le lettere a Lucia Rodocanachi che la Biblioteca Universitaria di Genova conserva restituiscono un'eco non effimera, che i saggi di Federica Merlanti, Franco Contorbia, Carla Peragallo, Andrea Aveto, Benedetta Vassallo, accolti in questo libro insieme con una bellissima testimonianza della stessa Lucia Rodocanachi, aspirano a prolungare.