Il volume contiene la trasposizione teatrale della novella palazzeschiana Il Re Bello realizzata da Siro Ferrone per gli ottanta anni dell'Ateneo fiorentino.
Nel fantastico Regno di Birònia, il Re Ludovico XII agogna un figlio maschio, come erede al trono; ma la moglie, la Regina Sofia Clementina, mette al mondo, una dopo l'altra, undici femmine, tanto da ridursi esausta e spossata. Ludovico XII non si dà per vinto e ritenta la prova con la consorte quasi agonizzante: femmina anche al dodicesimo parto! Dopo di che la Regina defunge. Ma per iniziativa dell'astuto Maresciallo del Regno, si cela il sesso della dodicesima figlia e ufficialmente si dà notizia che è nato l'erede maschio tanto a lungo desiderato: Ludovico XIII di Birònia. Il quale, bellissimo (il “Re bello”), cresce nell'ammirazione estasiata di tutti i sudditi. La situazione - morto il vecchio Re - precipita quando si deve dare moglie a Ludovico XIII ormai ventenne. Nella fatidica prima notte dopo le nozze, il “Re bello” si rivela non Re ma Regina e invita l'incredula consorte a darsi pace con le gagliarde Guardie reali. La consorte resta muta, esterrefatta, senza iniziativa. Ci pensa però Ludovico XIII a soddisfarsi con le Guardie reali, finché resta incinta (si mostra in pubblico sempre avvolto in un ampio mantello bianco) e dà alla luce, con parto gemellare, due maschi. Provvede, ancora una volta, il sagace Maresciallo a sbrogliare la matassa e comunica a gran voce al popolo, sorpreso ma felice, la nascita di due eredi al trono, sì da inaugurare il Regno dei Gemelli, entrambi destinati a governare con equilibrio e giustizia. Ludovico XIII viene dichiarato creatura fuori del sesso e, dopo il parto miracoloso, scompare per sempre, certamente - secondo la vox populi - asceso al cielo. Si sa però che - dileguatosi Ludovico XIII - nelle più lontane corti d'Europa fa parlare di sé una certa contessa Marina Del Pioppo, d'ignoti natali ma bellissima e di modi aristocratici, che ama tenere vita simpaticamente libera e «un poco licenziosa», dicono i soliti maligni.
Il racconto, che s'iscrive nel clima fantastico e favoloso del Codice di Perelà (1911), compendia, con ironica leggerezza, le componenti irridenti, funamboliche, trasgressive dell'opera palazzeschiana, soprattutto vive nella stagione sperimentale dell'avanguardia di primo Novecento.
Il volume, oltre al testo della trasposizione teatrale, contiene i contributi critici di Adele Dei, Rita Guerricchio, Simone Magherini e Gino Tellini.