Il carattere peculiare della lettura pascoliana proposta da Mario Martelli in questo volume (che esce postumo, ed è l’ultimo da lui composto) è la centralità pressoché assoluta assegnata all’elemento metrico e più genericamente formale e strutturale. Come egli stesso scrive, infatti, «la poesia di Pascoli consiste forse in questo rapporto dialettico e, ad un tempo, conflittuale tra diaspora delle immagini e forza strutturante dello strumento metrico – e s’intenda metrico nella sua più ampia accezione».
Un approccio di natura eminentemente “formale” (ma non “formalistica”), che individua nel possesso di una solida conoscenza della lingua e della letteratura greca e latina la condizione necessaria e imprescindibile per avvicinarsi consapevolmente all’arte di un poeta “dotto” e “classico” come Pascoli. Quel Pascoli che secondo Martelli incarna in maniera perfetta una concezione prettamente “metafisica” della poesia, intesa non quale meccanica e scialba riproduzione della vita, ma come sua sublimazione e redenzione; quel Pascoli che pertanto deve essere accostato, a suo parere, a tutti quei poeti che in ogni tempo più hanno creduto nella possibilità di conferire senso all’esistenza racchiudendola e riscattandola nel velo splendente e imperituro della forma.
Donde, in questo libro, l’ampio spazio concesso a strenue e raffinate analisi testuali, incaricate di portare alla luce ogni dettaglio strutturale, metrico e retorico dei prodigiosi “congegni” pascoliani, dalla forma estraendo, o meglio in essa – ben più che nel cosiddetto “contenuto denotativo” – riconoscendo i più profondi significati e l’autentica grandezza dell’arte pascoliana.