Dal carcere di S. Anna Tasso, scrivendo a C. Ardizio di non conoscere «miglior albergo» del valore «che la corte, e niun miglior giudice o maestro, che il principe», esprimeva il senso della vocazione encomiastica del suo spirito, di uomo (altra volta diceva) «nato e allevato in corte», imbevuto dell'idealizzazione cortigiana propria della mitologia politica del suo tempo e condizionato dall'irresoluto ma necessitante legame coi potenti.
Questo aspetto, emergente da un paio dei saggi qui raccolti, sottende anche i restanti, centrati sullo studio della riflessione epica tassiana, che è colta nel suo intrecciarsi alla prassi scrittoria della Liberata e revisoria delle Lettere poetiche ed è seguita lungo la parabola tracciata da diversi testi teorici fino al tardo argomentare del Giudicio e all'approdo della Conquistata, con riguardo particolare al rapporto fondativo tra vero storico e invenzione poetico-filosofica e alla dispositio, anche indagata nei suoi risvolti stilistici, in forza del nesso tra cose, concetti e parole, nonché in quelli riscrittori della pratica ecfrastica di stretta imitazione virgiliana.