Pensieri mondani, massime erudite, note scientifico-letterarie, precetti morali, motti, riflessioni private, elzeviri, lunari, gustosi raccontini: sono solo alcune delle varietà in cui si propone la prosa aforistica nell'età dei Lumi.
Nel secolo che più da vicino prepara la modernità, scrittori e uomini di cultura si dedicano a questo genere con rinnovato interesse, fissando nella forma breve la propria vicenda umana e intellettuale oltre che un'efficace rappresentazione della realtà.
Algarotti, brillante conversatore, viaggiatore inquieto, cultore delle scienze e delle arti, mette su carta le sue osservazioni quando il presagio della morte si fa più vicino, mentre Francesco Maria Zanotti, maestro del «contino» veneziano, riprende la tradizione educativa della prosa morale, dedicandosi alla mediazione culturale fra antico e moderno. Tormentato dal rovello dell'autoanalisi anche mentre legge Bacone, Cesare Beccaria saggia nella prosa aforistica la risolutezza dello stile giuridico e il coraggio di idee novatrici. E infine il combattivo e spregiudicato Pietro Verri alterna nelle sue pensées la più squisita sensibilità della confessione autobiografica, il lieve umorismo e il pungente sarcasmo.