La produzione in prosa di un poeta tende a essere considerata un'espressione “minore” e incontra spesso difficoltà a trovare un posto accanto alle opere in versi. Le prose di Vittorio Sereni hanno finito per condividere questo destino marginale, rimanendo avvolte nell'oscurità di un disinteresse pressoché totale. Le lunghe pause di silenzio che intervallano le raccolte poetiche possono invece essere riempite proprio da quelle numerose e frammentarie pagine tanto trascurate. Inserendo questi tasselli mancanti viene a completarsi un quadro che rivela una coerenza altrimenti indecifrabile.
Tutto in Sereni riconduce a una speculazione sul tempo, sull'impossibilità di un futuro che non sia in raccordo con il passato. Di pari passo si sviluppa un discorso, prettamente metaletterario, sulle reali capacità della diegesi di ricreare l'accaduto e sui modi e i tempi più adatti alla realizzazione di un'utopistica identità tra nome e cosa. Per questo la parola «libro» è la chiave di questo lavoro: rinvia al carattere unitario e connettivo degli scritti esaminati, alludendo anche alla centralità del tema del raccontare in quelle prose che, non di rado, parlano proprio di libri e di scrittura.