Composto nel fervore intellettuale degli anni milanesi, Morto ai paesi (1937), la seconda raccolta poetica di Alfonso Gatto – che sarebbe presto diventata, assieme a Isola (1932), un'opera esemplare dell'ermetismo –, si offre come canto della lontananza dalla terra natia, testimonianza dell'immedicabile distacco dal mondo originario ed edenico dell'infanzia. La poesia, quale ultimo riscatto, diventa strumento di un nostos rivolto alla luna, al mare, a quanto resta di ancora visibile del cosmos mitico.
Il libro di Marica Romolini, con acuta attenzione per le fasi redazionali e per la partitura metrica, ripercorre quel testo individuandone le strutture e i temi ricorrenti. A partire dalla precoce morte del fratello Gerardo, che diventa simbolo supremo di una dimensione primigenia, di una pienezza vitale ormai perduta, e dalle luminose e disincarnate epifanie femminili, che riassumono in sé i cardini mitopoietici della mater e dell'heimat. Né manca un'attenzione specifica alle origini archetipiche degli elementi della “terra dipinta”: il vento, i prati, la notte, la città, che trascendendo ogni realismo si caricano di un ulteriore senso metafisico. Si ricostruisce dunque con una serie di sondaggi trasversali il delicato filo narrativo che lega tra loro le liriche della plaquette, fino a farne un romanzo della nostalgia, orchestrato su sotterranee forze – centripete e centrifughe, di attaccamento e rifiuto, di chiusura regressiva e di apertura alla varietà del mondo – e su un costante, originalissimo dialogo con i maestri della tradizione letteraria.