Negli anni in cui si consolida il potere farnesiano, politicamente “nuovo” e alla ricerca di una propria identità culturale, sorge a Parma l'Accademia degli Innominati. Fondata da Eugenio Visdomini e Giulio Smagliati nel 1574, l'Accademia annovera fra i suoi membri figure di spicco della letteratura tardocinquecentesca: da Angelo Ingegneri a Muzio Manfredi, da Torquato Tasso a Battista Guarini, da Tommaso Stigliani a Giambattista Marino. Ma è specialmente l'attività costante del principale fra i suoi membri, Pomponio Torelli, a dare un'impronta forte al lavoro “Innominato”, che si mobilita attorno alla definizione teorica e artistica delle forme “nobili” della letteratura moderna: lirica, epica, tragedia, pastorale.
Il presente volume ricostruisce le caratteristiche di questo impegno collettivo, analizzandone l'ambizioso progetto filosofico ed estetico nel confronto diretto coi testi. Ne deriva una messa a fuoco del ruolo culturale svolto dalle Accademie di fine Cinquecento, e un profilo decisamente più nitido e circostanziato degli Innominati parmensi, finora mai indagati nella loro complessa elaborazione di una peculiare architettura letteraria.