Un’analisi dell’intera produzione letteraria del giovane Palazzeschi nell’ambito della crisi filosofica di inizio Novecento. In questo volume, Mimmo Cangiano restituisce a Palazzeschi la statura europea che gli compete, ricostruendo una poetica in grado di rivaleggiare, per complessità e consapevolezza, con quella di alcuni maestri del modernismo d’oltralpe. Critica della metafisica e critica delle possibilità conoscitive del soggetto, attacco all’istituto formativo del linguaggio e ideazione di un diverso modello d’avanguardia.
Nel declino della tradizione dei grandi sistemi filosofici emerge così un ritratto di Palazzeschi impegnato a scardinare (con le armi dell’ironia, dell’umorismo e di un rinnovato concetto di ragione) le certezze gnoseologiche fino ad allora consuete.
Vero centro dell’analisi è il dissidio fra il concetto di “vita” e quella di “forma” così come in quegli anni viene elaborato, in Europa, da filosofi quali Simmel e Lukács e, in Italia, da intellettuali del calibro di Pirandello e Michelstaedter.
Palazzeschi si inserisce nel dibattito in punta di piedi, senza mai rinunciare alla propria proverbiale “leggerezza”, e raggiunge in tal modo risultati sorprendenti, che lo portano fino al punto di poter essere preso a campione di una prospettiva culturale già proiettata, nell’orizzonte nietzschiano, a rivolgere le armi del nichilismo contro il nichilismo stesso, non parteggiando, per usare termini generali, né per Dio né per il nulla.