«Adoro le date. Le date: incanto che non so dire, / ma pur che da molto passate o molto di là da venire»: i vv. 21-22 di un capitale testo gozzaniano come L’ipotesi convengono esemplarmente al piccolo ventaglio di saggi accolti in questo Quaderno, allestito negli immediati dintorni del centenario della morte di Guido Gozzano da un gruppo di studiose e di studiosi appartenenti a generazioni diverse e titolari, in più di una sede universitaria (Genova, Pavia, Torino, Firenze), di esperienze di insegnamento e di ricerca irriducibili a una cifra comune.
A voler indulgere per un attimo ai malcerti piaceri dell’ovvio, è fuori di dubbio che cento anni siano (sono) cento anni, e che, dunque, solo un po’ capziosamente, se non temerariamente, sarà lecito predicare, di Guido Gozzano e del suo esercizio inventivo in versi e in prosa, una improbabile “attualità”. Si potrà tuttavia aggiungere che nessun altro autore del primo Novecento italiano, ad eccezione di Serra, continua a esibire, a un secolo di distanza, una così radicale, armata ambiguità, capace di mettere a prova, in stagioni anche molto distanti tra loro, interpreti dotati di affilatissimi strumenti di indagine.
Risiede forse qui, nella mercuriale mobilità di un oggetto supremamente sfuggente agli assedî spesso magistrali eppure mai decisivi di filologi ed ermeneuti, il segno di una, nonostante tutto, ininterrotta “fortuna” critica e storiografica nella cui lunga vicenda il presente Quaderno gozzaniano aspira ad occupare uno spazio certo laterale ma non incongruo.
(Franco Contorbia)