«Come quando tu giochi ai dadi e non vuoi piegarti a violare le regole del gioco e a ingannare l’avversario, se però, colui con cui giochi, all’opposto, senza alcun scrupolo ti imbroglia e ti inganna, non otterrai mai buoni risultati solamente con la tua esperienza e destrezza, tanto da poter competere con l’inganno e la falsità di quello; allo stesso modo nella vita, che è quasi un gioco di dadi casuale, se gli onesti, per non allontanarsi neppure di un’unghia da una fondamentale norma di giustizia, non si lasciano distogliere da nessun allettamento di onori o di denaro, mentre gli altri combattono comunemente con trappole e sotterfugi, spesso con spergiuri e malizie, non c’è da meravigliarsi se l’onestà sia vinta dall’astuzia, la sincerità dall’impudenza, il pudore dalla protervia, la fede dall’empietà, la verità dalla menzogna. Pertanto, in mezzo ai disonesti, gli onesti sono ritenuti tardi di mente e poco efficaci, e spesso sono anche scherniti».
(Giovanni Della Casa, «Petri Bembi vita», 82-83)
Scritte in aureo latino nella fase finale della sua esistenza, dalla metà del 1550 al 1555-1556, la «Petri Bembi vita», la «Gasparis Contareni vita» e la «Dissertatio adversus Petrum Paulum Vergerium» rispondono a tre diverse esigenze della complessa figura di Giovanni Della Casa. La prima nasce con la decisione di ritornare da privato cittadino a Venezia — dove aveva trascorso un lustro da nunzio pontificio — dopo la morte di Paolo III, l’elezione di papa Ciocchi del Monte e l’offuscamento della potenza farnesiana: la biografia di Pietro Bembo doveva coniugare il mito sempiterno della Serenissima con il mito crescente del maggior letterato del tempo, del quale Monsignore evidenziava le fondamentali conquiste culturali e linguistiche insieme alla posizione di cardinale vicino al fronte riformistico di Gasparo Contarini. La cui biografia nacque invece su richiesta degli eredi e come ripristino apologetico di una memoria infangata dai nemici: assunta a fatica dal Casa nel suo ritiro di Nervesa e condotta sino al ritorno del Contarini dalla fallimentare Dieta di Ratisbona, fu interrotta per le difficoltà della materia, ma soprattutto perché, nel giugno del 1555, l’autore fu chiamato a Roma dal neoeletto Paolo IV (la «Contareni vita» sarà portata a termine agli inizi degli anni Sessanta da Piero Vettori). A distogliere Della Casa fu però anche un’improvvisa urgenza privata, la difesa dagli attacchi di Pietro Paolo Vergerio, che aveva allora diffuso le «Epistolae duae» con accuse infamanti nei confronti di Monsignore, che andavano dal piano personale (la lode dell’«arte divina» della sodomia nel giovanile capitolo del «Forno») a quello etico-dottrinale, circa lo zelo persecutorio dovuto a smisurata ambizione di carriera; uno zelo simile a quello di Reginald Pole, esplicitamente attaccato nella seconda «Epistola». La «Dissertatio adversus Petrum Paulum Vergerium» mette in opera gli schemi dell’«improperium» e del «vituperium ad personam» dell’oratoria ciceroniana, costruendo l’immagine di un nemico spergiuro, rissoso, scialacquatore, uxoricida, disposto all’apostasia. Ben lungi dalle biografie edificanti di Bembo e di Contarini, ne nasce un «pamphlet» di inaudita, e poco cristiana, violenza, che andrà in stampa solo oltre un secolo dopo.