Collocata tra l’interruzione dell’«Innamorato» e la nascita del «Furioso», il «Mambriano» del Cieco da Ferrara è un’opera ancora avvolta da troppo mistero e sostanzialmente da riscoprire. Pubblicato postumo nel 1509, questo poema – cresciuto nella Mantova gonzaghesca – rappresenta una tappa obbligata nel percorso della storia del romanzo cavalleresco in area padana: esso infatti, offrendo una via alternativa alle numerose “giunte” ai tre libri boiardeschi, non solo rivendica una propria fisionomia e identità, ma, soprattutto, si connota, per il suo autore, come uno strumento di lotta contro la crisi incipiente che va colpendo, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, il sistema corte. Mediante una profonda sperimentazione riguardante la varia cultura cortese rivissuta all’interno del genere cavalleresco, il Cieco vuol consegnare al mondo delle corti ormai in rovina un prodotto in cui riconoscersi. Il poema diviene, così, un ultimo balaurdo di resistenza, che già mostra, però, quella via di follia che sarà propria del «Furioso».