Ṭūṭī-yi Hind, “il pappagallo dell’India”, è l’appellativo con cui è noto da sempre il grande poeta indo-persiano Amīr Khusraw di Delhi (1253-1325), e ṭūṭiyān-i Hind, “i pappagalli dell’India” sono, per il celebre Hafiz di Shiraz (ca. 1315-ca. 1390), quegli scrittori sudasiatici che scelgono di addolcire la propria lingua con lo zucchero della prestigiosa cultura poetica proveniente dall’Iran. Nell’India del nord, tra la fine del Seicento e la prima metà dell’Ottocento, centinaia di scribi, amministratori e intellettuali appartenenti a varie correnti religiose hindu, soprattutto vaiṣṇava, scelsero di utilizzare la lingua persiana come strumento privilegiato di produzione letteraria, trasformandosi a loro volta in nuovi ṭūṭiyān-i Hind. Questo volume, attraverso l’analisi critica e comparativa di un gran numero di fonti indo-persiane inedite, ripercorre le strategie di testualizzazione e di (auto-)rappresentazione del proteiforme spazio identitario ‘hindu’ pre-coloniale all’interno del vasto panorama cosmopolita della civiltà letteraria persiana islamica, durante il periodo a cavallo tra il declino dei Mughal e l’inizio della dominazione britannica.